L’infarto del miocardio – soprattutto quando è esteso – può generare una progressiva dilatazione e distorsione del ventricolo sinistro per effetto del quale si alterano altre strutture del cuore, compresa la valvola mitralica (principalmente l’anulus e i muscoli papillari): si sviluppa così, una patologia denominata insufficienza mitralica secondaria.
A volte l’insufficienza mitralica post infartuale rientra in modo spontaneo, ma a volte no e spesso la chirurgia o l’approccio transcatetere sono le uniche strade percorribili.
Come sempre, quando le cose cominciano a farsi complicate, rivolgersi ad uno specialista cardiologo o cardiochirurgo vi aiuterà a chiarire le idee, soprattutto in casi come questi, in cui la prima problematica da affrontare è come portare sangue al cuore laddove non arriva in maniera corretta, capire quanta funzione residua ha il cuore e come infine potere, ove possibile, intervenire sulla valvola mitralica.
Infatti, oggi la ricerca è in fermento per sviluppare nuove tecnologie e nuovi device, sia per la riparazione che per la sostituzione della valvola mitralica con un approccio mininvasivo e/o transcatetere. Alcuni device sono già in commercio in Europa, con dei risultati a dir poco promettenti.
Tuttavia, quando indicato (e nel contesto di un contemporaneo intervento di bypass aortocoronarico), allo stato attuale l’intervento riparativo resta quello preferito, perché assicura una migliore preservazione della funzione del cuore e risultati più certi.
È davvero un argomento complesso, in cui ogni singolo caso deve essere discusso e nel quale più che mai il ruolo dell’Heart Team gioca un ruolo fondamentale.
Nei casi di patologia mitralica secondaria a disfunzione del cuore per problematiche ischemiche (ma anche per ragioni di cardiomiopatia primitiva idiopatica), dovete sempre affidarvi al parere di professionisti con esperienza, che operano in centri di alta specialità nel campo cardiovascolare.